Chi era questo personaggio, questo governatore tratteggiato anche dagli storici come uomo eccellente? Una interessantissima raccolta di informazioni è custodita nella Biblioteca del Palazzo De Liria di Madrid. Giuseppe Rovelli nella sua Storia di Como (parte III tomo II) ci lascia questa testimonianza: Egli mantenne sino alla fine dei suoi giorni il credito d'uomo giusto, saggio e di consumata esperienza, e trattò gli affari con tanta dignità e grandezza che superò in ciò tutti i suoi antecessori. Ma accoppiando esso alla sua politica uno spirito guerriero, aggraviò i popoli soverchiamente di spese militari. Pietro Verri nella sua storia di Milano ne scolpisce un autentico ritratto: La figura del conte era alta, capo piccolo, faccia sanguigna, occhi piccoli e vivaci e guardatura fiera, voce acuta e stridula e femminile. Vestiva semplice, a mezzodì e mezzanotte pranzava e cenava, e stipendiava cuochi eccellenti. Teneva lontano i medici. Ogni sabato sentiva la Messa a S. Celso; le altre volte nella cappella pubblica. Per via, amava assai d'esser corteggiato dai ministri, né gliene mancava mai buon numero, e amava d'esser ascoltato a rimproverarli mentre, strada facendo parlava d'affari. Egli era frizzante e motteggiatore. Aveva una prodigiosa memoria. Era facile ad ammettere chiunque, ma riusciva difficile il parlargli, perché d'ordinario interrompeva e rimandava malcontenti e strapazzati. Sebbene non inclinasse i divertimenti pure dilettavasi delle pubbliche feste e dei balli come mezzi di palesare la sua magnificenza, e vi si tratteneva tutta la notte. Il suo carattere era quello degli uomini forti e superbi, dispotico. Non seguiva altra legge che il suo volere. Fece carcerare il tesoriere, perché questi pagò il dovuto senza l'ordine suo; relegò un questore nel castello di Finale, perché coi suoi amici aveva parlato di lui in biasimo. Fece porre nel castello di Milano il Vicario e i XII di Provvisione, perché non gli consegnarono gli atti che cercava, e una altra volta perché si opposero ad una gravezza da lui posta senza assenso della Corte. Da se e indipendentemente dal senato condannava alla galera; ne valsero a frenarlo le rimostranze di quella suprema magistratura, né le ammonizioni di Madrid... Era astutissimo, e sapeva accomodare le parole e i gesti all'opportunità e quando aveva bisogno di alcuno era il più gentile e grazioso uomo del mondo. Teneva molte spie e si curava di sapere le più minute e private curiosità delle famiglie. Aveva uno sbirro al quale aveva dato somma autorità. Alcuni gravissimi delitti pubblicamente protesse. Ma generalmente mantenne l'ordine nella città, contenne i bravi, e sotto di lui si godè della sicurezza maggiore che permettesse la condizione di quei tempi facinorosi. Altre testimonianze del conte di Fuéntes sono riscontrabili nell'opera del vescovo di Novara Carlo Bescapé. Appena giunto a Milano, il conte stringe relazioni di amicizia col cardinale Federico Borromeo e si attira la stima del Papa Clemente VIII alla cui politica sarà sempre ligio. Fuéntes si tiene sempre una brigata di sbirri e costruisce a Milano il palazzo di giustizia. Oltre i soldati sua particolare cura sono le fortezze a Pavia, a Cremona, a Soncino, a Domodossola e infine quella contro i Grigioni; tutto questo però non per insano desiderio di guerra bensì per Voler essere forte, per incutere rispetto e timore, per far trionfare la sua politica d'espansione ed ottenere la supremazia sugli stati d'Italia. Riferisce Leali Romeo, memorialista su Fuéntes: Il conte di Fuéntes aveva un carattere dalla tempra certamente molto forte, per questo non si procura né l'ammirazione né l'amore dei suoi sudditi. Sprezza il popolo, tiene soggetta la nobiltà e sa anche essere indipendente dalla corona: è famosa la sua frase "il Re comanda Madrid, io Milano". Vive una vita austera. Muore il 22 luglio 1610; la sua salma, nonostante il desiderio del conte perché fosse trasportata in Spagna, restò nella chiesa di S. Celso a Milano.
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